Il profeta

[Canzone da ascoltare durante la lettura: Nirvana, Dive]

Di getto, un’ora dopo “Montage of heck“.

Che poi, voglio dire, è facile dire stronzate, così subito a caldo, dopo la fine. E allora si può ascoltarsi dire cose che non si sarebbe mai creduto, che non si pensano, in realtà. Anche dopo che mi ero ripromesso che me lo sarei tenuto per me, che non avrei espresso pareri, che questo fluido caldo nel petto me lo sarei goduto da solo.

Era troppo che non lo sentivo più. Quel blob che dovevo buttare fuori scrivendo, suonando, che mi dovevo togliere da dentro il petto perché sennò soffocava il cuore. E invece stavolta me lo voglio coccolare come un dolore. Dolce, conosciuto, male di vivere. Quanto mi eri mancato. Che ci è successo? Dove sei stato? Sono io? Sono invecchiato? Sono felice?

Un pezzo di me sullo schermo. Un pezzo della mia vita. Non quella vera, quella interiore. Quella solo mia. Che gli altri non c’entrano. Che conosco io. Dentro di me. Dove gli altri non vedono, non sanno. Solo io. Fanculo gli altri. Fanculo tutti.

Quanti di quelli in sala si sono sentiti così, come me?

Nostalgia amarognola, piacere nel vivere ricordi, emozioni, suoni. Peraltro, in che modo il cuore può essere collegato alle orecchie? Perché le emozioni sono così connesse con ciò che si ascolta?

Quanti di quelli in sala si sono sentiti così, come me? No, seriamente, quanti?

Ma voi sentite la musica come la sento io? Con il petto, intendo. Anche voi avete un’altra gola sopra lo sterno, specializzata in scream, che quando sentite un pezzo dei Deftones funziona come uno sfiatatoio, sfoga come una valvola a pressione facendo rilassare i muscoli del viso, aprire il cervello e riassorbire la bile?

No, perché io ho sempre pensato con fastidio al fatto di essere “uno dei tanti”. Sono sempre stato geloso. Prendi i Nirvana, per esempio. I Nirvana sono miei, punto. Ma in quanti l’abbiamo detto? Non siamo diversi dalle ragazzine che scrivono a Cioè. Pensiamo che quella cosa sia nostra, solo per noi. E che gli altri non la percepiscano come la percepiamo noi. Quella canzone è mia, punto.

Quanti di voi hanno veramente ancora il cuore che batte zoppo, un’ora dopo?

Non sono i Nirvana, non è il mito che ci hanno costruito intorno. Siamo noi. Sono io, che entro in contatto per un attimo con il me reale, non censurato, puro [anche a voi suonano così banali queste parole? Cazzo, non so proprio dirle meglio]. Recupero quello che ero, quello che sentivo, quello che ancora sono, quello che ancora sento.

KC aveva paura di curarsi il mal di stomaco perché temeva di perdere la sua creatività. Di togliersi quel fluido, quel blob che brucia, soffoca e deve uscire, ma che fa sentire vivo e pieno di roba da dare. E che non avevo da un po’. Da quanto non so dirlo. Sono tranquillo? Sono felice?

È per quello che i miei quaderni sono così vuoti negli ultimi anni? Non avevo più quel qualcosa da sfogare, e che stasera torna con prepotenza?

Non lo so, ma sto scrivendo e sono un subbuglio e sto così bene mentre lo sto facendo e sorrido e sono euforico e sono piccolo e sono triste perché sono grande e non so cosa sarò domani e temo solo che un giorno ritrovando quei diari che dovevo tenere chiusi con l’elastico da tanto erano fitti di cose, li troverò solo infantili e pieni di cazzate. E allora vorrà dire che mi sono indurito. Che ho perso quel nucleo fluido, instabile e malsano, per diventare roccia, ferma, sicura, ma rigida e immutabile.

A volte è meglio bruciare che spegnersi lentamente. Specie se in ventisette anni sei riuscito a vivere già tutto. Dopo è solo declino.

Non è questione di arrivare giù in città a dire cosa è giusto, cosa è sbagliato. Non è questione di chi tutti pensano sia il profeta.

Sono io. Siamo noi. Individui irripetibili e tutti uguali.

Quanti di voi si sentono così, come me?

Sono davvero “uno dei tanti”? Oppure è una cosa mia? Oppure posso assaporare l’esclusività di questa nostalgia di quello che ero, di quello che facevo, di quello che scrivevo, di quello che sentivo?

Davvero, c’è qualcun altro che si sente così? Siamo tutti standard nelle emozioni?

La verità è che sono geloso delle mie e vorrei che la risposta fosse no.

“I Nirvana sono miei, punto”.

[Canzone da ascoltare: Wet Floor, Il profeta]

Il profeta